Verso architetture resilienti 3: come il Modernismo è diventato (s)quadrato

La scienza ci costringe a concludere che la visione modernista del proprio modello ambientale appare non-moderno e insostenibile. Essa si basa su teorie ormai ampiamente screditate della cultura, della tecnologia, della geometria ambientale e della costruzione della forma, teorie che non sono mai state adeguatamente ri-valutate dai loro sostenitori.

(Traduzione dall’originale: www.metropolismag.com/Point-of-View/April-2013/Toward-Resilient-Architectures-3-How-Modernism-Got-Square).

La matematica frattale della natura ha una somiglianza impressionante con le decorazioni umane, come in questo frattale, generato da una regola di suddivisione finita. Questa non è una coincidenza: l’ornamento può essere quello che gli esseri umani usano come una sorta di “collante” per aiutare a tessere insieme i nostri spazi. Ora sembra che la rimozione di ornamenti e geometrie ha conseguenze di ampia portata per la capacità dell’ambiente di formare strutture globalmente coerenti e resilienti.
(Image: Brirush/Wikimedia)

La matematica frattale della natura ha una somiglianza impressionante con le decorazioni umane, come in questo frattale, generato da una regola di suddivisione finita. Questa non è una coincidenza: l’ornamento può essere quello che gli esseri umani usano come una sorta di “collante” per aiutare a tessere insieme i nostri spazi. Ora sembra che la rimozione di ornamenti e geometrie ha conseguenze di ampia portata per la capacità dell’ambiente di formare strutture globalmente coerenti e resilienti.
(Image: Brirush/Wikimedia)

Poiché stiamo entrando in un periodo di transizione che richiede una maggiore resilienza e sostenibilità dei sistemi tecnologici, ci dobbiamo interrogare fortemente sugli approcci esistenti in architettura e negli insediamenti. Le analisi post-abitative mostrano che molti nuovi edifici, così come l’adeguamento di alcuni vecchi edifici, hanno prestazioni sostanzialmente inferiori alle aspettative minime. In alcuni casi notevoli, i risultati della ricerca sono francamente tristi [vedi “Verso architetture resilienti 2: non sempre “ecologico” è tale “]. Il guaio è che l’attuale modello di insediamento, sviluppato nell’era industriale alimentata dal petrolio, sta cominciando ad apparire fondamentalmente limitato. E stiamo comprendendo che non è possibile risolvere i nostri problemi utilizzando le stesse tipologie che li hanno inizialmente creati. In un mondo “lontano dall’equilibrio”, come ci suggerisce la teoria della resilienza, non possiamo contare su approcci ingegneristici o “per aggiunte” [bolt-on: ad incastro, imbullonato, pronta all’uso, N.d.T.] su queste tipologie, i quali sono solo in grado di produrre una cascata di conseguenze impreviste. Ciò di cui abbiamo bisogno è una capacità intrinseca di gestire gli “shock di sistema”, similmente a quanto possiamo osservare abitualmente nei sistemi biologici. In “Verso architetture resilienti 1: Lezioni di Biologia " abbiamo descritto varie caratteristiche di queste strutture resilienti, tra cui una connettività ridondante (“web-network”), approcci incorporanti le diversità, lavoro distribuito a diverse scale, e adattività a grana fine degli elementi progettuali. Abbiamo notato che molte vecchie strutture avevano un alto livello di queste esatte qualità resilienti, e nelle valutazioni post-abitative spesso hanno sorprendenti prestazioni anche oggi. Tuttavia, durante l’ultimo secolo, nell’era del design industriale, le desiderabili qualità che gli edifici resilienti offrivano sono state perse. Che cosa è successo?

Una spiegazione comune afferma che il mondo si è evoluto verso modi più pratici ed efficienti di fare le cose, e i vecchi metodi erano antiquati e poco moderni. Secondo questa spiegazione, la nuova architettura era il prodotto inevitabile di forze inesorabili, espressione innegabile di un emozionante “spirito del tempo” industriale. I nuovi edifici sarebbero stati semplificati, belli, e soprattutto “stilisticamente appropriati”. Questo è stato il pensiero che ha dato vita allo stile e al linguaggio formale modernista, ancora popolare tra gli architetti di oggi e parte di un movimento di design che in varie forme ha dominato il mondo per un secolo. Ma questa scelta di stile non è indipendente dalle prestazioni dei nostri edifici riguardo alla sostenibilità e alla resilienza - prova ne è un crescente ed evidente corpo di prove. Cosa ci dice la recente scienza circa la validità di questo approccio all’architettura? La scienza ci costringe a concludere che la visione modernista del proprio modello ambientale appare non-moderno - e insostenibile. Essa si basa su teorie ormai ampiamente screditate della cultura, della tecnologia, della geometria ambientale e della costruzione della forma, teorie che non sono mai state adeguatamente ri-valutate dai loro sostenitori. Lungi dall’essere un prodotto inevitabile di forze storiche inesorabili, l’evidenza mostra che il design del 20° secolo ha preso piede da una serie di scelte piuttosto peculiari di pochi individui influenti. La storia risale a un piccolo gruppo di architetti-teorici Tedeschi, Svizzeri e Austriaci, e al suo stadio embrionale, in particolare alle idee di uno di loro riguardanti l’ornamento - che risulta avere implicazioni di vasta portata.

L’idea di Adolf Loos prende il controllo.

Nel suo famoso saggio del 1908, “Ornamento e Delitto”, lo scrittore/architetto austriaco Adolf Loos ha presentato un argomento a favore dell’estetica industriale minimalista che da allora ha plasmato il modernismo e il neo-modernismo. Sorprendentemente, egli ha basato questa argomentazione su fondamenta che oggi nessuno accetta più; la superiorità culturale dell’ “uomo moderno” [sic], con il quale intendeva i maschi del Nord Europa. Loos proclamava che, in quella nuova era di semplificata produzione moderna, non eravamo più in grado, a quanto pare, di produrre un “autentico dettaglio ornamentale”. Ma siamo noi incapaci, si chiese, di avere un nostro stile e di fare quello che “qualsiasi Negro” [ sic ], o qualsiasi altra razza e periodo prima di noi ha fatto? Certo che no, ha sostenuto. Noi siamo più avanzati, più “moderni”. Il nostro stile deve essere l’estetica scarna che vediamo nelle merci semplificate della produzione industriale - un marchio di garanzia di progresso e di superiorità. In effetti, i nostri “ornamenti” sarebbero i semplici edifici minimalisti e gli altri stessi manufatti, che celebrano lo spirito di una grande nuova epoca. Anzi, l’uso continuo dell’ornamento era, per Loos, un “crimine”. I “Papuasi”, sosteneva, non si erano evoluti nelle condizioni morali e civili dell’uomo moderno [sic]. Come parte delle sue pratiche primitive, il Papuano si tatuava. Allo stesso modo, Loos continuava, “l’uomo moderno che si tatua o è un criminale o un degenerato”. Perciò, ragionò, chi ancora usava l’ornamento era sullo stesso basso livello di un criminale, e di un Papuano.

La croce cerimoniale etiope d’argento, portata in processione liturgica, rappresenta un frattale matematicamente sofisticato. Stava Loos implicando che gli osservanti di tali pratiche religiose millenarie di tutto il mondo - dipendenti come sono da ornamenti rituali, artefatti, canti, musica e danza - non sono migliori dei “criminali”? (Disegno di Nikos A. Salingaros)

La croce cerimoniale etiope d’argento, portata in processione liturgica, rappresenta un frattale matematicamente sofisticato. Stava Loos implicando che gli osservanti di tali pratiche religiose millenarie di tutto il mondo - dipendenti come sono da ornamenti rituali, artefatti, canti, musica e danza - non sono migliori dei “criminali”?
(Disegno di Nikos A. Salingaros)

Basato su una visione del mondo sostanzialmente razzista, il saggio fondamentale di Loos codifica una serie fatale di quattro principi che si sono infiltrati nella cultura del design e che rimangono in gran parte indiscussi, anche oggi.

  1. Fondamentalismo geometrico. La marcia del progresso tecnologico costringe inevitabilmente all’eliminazione di caratteristiche di dettaglio o ornamentali, e si concentra sulle caratteristiche che mostrano palesemente (e celebrano) la convenienza tecnologica e la riduzione geometrica.
  2. Determinismo tettonico. Il carattere geometrico di qualsiasi aggiunta all’ambiente costruito può solo essere espressione unica del suo specifico momento tecnologico nella storia (definito in termini stilistici, ovviamente).
  3. Pregiudizio tipologico. Ne consegue che tutte le geometrie architettoniche di epoche precedenti sono del tutto incompatibili con la modernità, e devono essere contrassegnate per essere eliminate. Il revival - una costante “fuga” evolutiva in tutte le più grandi civiltà - è ora respinto, per la prima volta nella storia.
  4. Eccezionalismo modernista. La civiltà è arrivata ad uno stadio culturale radicalmente diverso e superiore, elevato al di sopra dei precedenti vincoli storici grazie alla sua potente tecnologia. L’architettura servirà questa tecnologia più appropriatamente attingendo da un ristretto linguaggio formale derivato dalla tecnologia di produzione degli inizi del 20° secolo. Nessuna altra forma di linguaggio è valida o “autentica”.

Qual era questo ristretto linguaggio formale? Esso utilizzava la produzione ripetitiva di componenti standardizzati, concepita nel senso più ristretto (eliminando artefatti, strumenti e utensili complessi, e componenti architettonici complessi). Era una estrema strategia per sfruttare le economie di scala e di quantità per raggiungere l’efficienza. Quelle parti industriali - fogli piatti e vuoti, tagli dritti e lineari, semplici quadrati, cubi e cilindri disadorni - sono stati standardizzati per consentire un montaggio facile e a basso costo.

Alcune falle erano evidenti nelle teorie di Adolf Loos, anche nel momento in cui sono state scritte. Alla sinistra, contenitore di monili in argento in stile Art Nouveau, prodotta in serie da P.A. Coon, 1908. Alla destra, teiera d’argento basata sull’Estetica della Macchina, fatta a mano da C. Dresser, 1879. L’estetica della macchina era una metafora artistica della “modernità” scelta da Loos - non un vero requisito funzionale.
(Disegno di Nikos A. Salingaros)

Alcune falle erano evidenti nelle teorie di Adolf Loos, anche nel momento in cui sono state scritte. Alla sinistra, contenitore di monili in argento in stile Art Nouveau, prodotta in serie da P.A. Coon, 1908. Alla destra, teiera d’argento basata sull’Estetica della Macchina, fatta a mano da C. Dresser, 1879. L’estetica della macchina era una metafora artistica della “modernità” scelta da Loos - non un vero requisito funzionale.
(Disegno di Nikos A. Salingaros)

Proprio per via delle sue restrizioni, questo linguaggio formale nato per forme nuove, drammatiche e un po’ inquietanti, diventò immediatamente, e metaforicamente, l’espressione di una grande epoca nuova. Le prime e semplici forme erano ben adatte psicologicamente alle forme aerodinamiche dei nuovi veicoli incredibilmente veloci, come le locomotive, gli aerei e le navi. A loro volta, questi veicoli rinforzarono l’idea metaforica di edifici aerodinamici - anche se, naturalmente, gli edifici in realtà non si muovono. In un’epoca affascinata dallla promessa del futuro, questo linguaggio formale radicalmente nuovo è diventato inaspettatamente popolare e ha interamente deposto i suoi concorrenti contemporanei, molti dei quali sono in gran parte oggi dimenticati. Gli innovativi linguaggi formali architettonici che erano emersi includevano lo Jugendstil, la Secessione, l’Art Nouveau, lo Stile Liberty, lo stile Edoardiano, l’Art-and-Crafts, così come il primo F.L. Wright. In realtà, Loos stava specificamente attaccando le forme relativamente innovative dell’Art Nouveau - e non le straordinarie opere Rococò dei designer tardo vittoriani, come alcuni sostengono oggi.

“Il cubo ha mangiato il fiore:” come l’estetica della macchina ha divorato tutti gli altri linguaggi formali, da “Architecture for Beginners” di Louis Hellman, 1994.
(Adattamento e ridisegno di Nikos A. Salingaros)

“Il cubo ha mangiato il fiore:” come l’estetica della macchina ha divorato tutti gli altri linguaggi formali, da “Architecture for Beginners” di Louis Hellman, 1994.
(Adattamento e ridisegno di Nikos A. Salingaros)

Corporate branding e fantascienza.

L’uso intelligente della produzione di parti meccaniche, attraverso la rapida applicazione della tecnologia industriale, come nuovo e romantico linguaggio formale si ritrova in un contemporaneo tedesco di Loos, Peter Behrens. Noto oggi come “il padre del corporate branding”, Behrens ha utilizzato il minimalismo industriale come strumento estetico per creare un’immagine di marketing semplificata per aiutare la vendita dei prodotti del suo cliente AEG (la versione tedesca della General Electric). Ha creato loghi suggestivi, il materiale stampa, la pubblicità - e gli edifici, che, in effetti, sono stati convertiti in giganti cartelloni per aiutare a vendere le aziende e i loro prodotti. In questo passaggio epocale, Behrens stava magistralmente risolvendo un problema critico per i progettisti ambientali che offrivano i loro servizi in una nuova era di standardizzazione e produzione di massa. Se non potevamo più creare la forma degli edifici sul posto, attraverso processi artigianali e locali, dovendo invece contare su combinazioni di parti standardizzate (presumibilmente migliori e certamente più economiche), allora come avremmo potuto noi, come progettisti, creare opere esteticamente caratteristiche? Mediante la loro “tematizzazione” attraverso una emozionante visione stilizzata del futuro creata dall’industria (e in particolare, da parte della società del cliente, e dall’agenzia di design incaricata). Avremmo trasformato gli edifici e gli oggetti in canovacci coi quali “marchiare” le nostre aziende e i nostri talenti come designer visionari, portando la civiltà in una nuova era emozionante. Oltre a questo, questi progetti confezionati avrebbero avuto il fascino speciale, nelle abili mani di Behrens e dei suoi pupilli artisticamente versati, di una nuova grande arte. Al suo cuore c’erano la produzione industriale e la mercificazione dei prodotti. Lavorando sulle limitazioni auto-imposte di questo nuovo minimalismo estetico, Behrens creò una immagine di forza, potenza industriale, ordine e pulizia. Soprattutto, era la promessa di un meraviglioso nuovo futuro tecnologico. Il suo brillante riconoscimento ha aperto la strada per un tema dominante del marketing moderno - quello che può vendere praticamente qualsiasi cosa se ​​collegata con successo ad una immagine romantica del futuro. Il fascino di un tale prodotto è, per definizione, al di là di ogni affermazione valutabile nel presente. E’ la vendita della speranza, del sogno e del desiderio - anche se destinato ad essere offuscato rapidamente e ad essere scartato. Tanto meglio, dato che l’obsolescenza programmata significa che un altro “nuovo e migliore” prodotto può essere venduto al suo posto. Il potere seduttivo di questo messaggio futurista si ritrova nei giovani pupilli di Behrens, ogunno dei quali avrà un effetto profondo sul design del 20° secolo. I loro nomi, Walter Gropius, Charles-Édouard Jeanneret-Gris (più tardi conosciuto come Le Corbusier) e Ludwig Mies van der Rohe, sono familiari agli architetti. Infatti, gli studenti di architettura sono tenuti a studiare e copiarli nelle scuole. Nei decenni successivi, essi avrebbero annunciato la loro “architettura totale” (Gropius), che ha segnato una “grande epoca della produzione industriale” (Le Corbusier) e “la volontà di un’epoca” per la quale “less is more” (Mies). Nelle parole del loro più importante teorico e propagandista, Sigfried Giedion, «la meccanizzazione assume il controllo». I nostri edifici devono rispecchiare la realtà inevitabile del nostro mondo moderno. Questa non era semplicemente una prescrizione stilistica che uno poteva (o non poteva) trovare visivamente piacevole. Questo era un modello completo per rifare il mondo secondo concetti specifici di scala, standardizzazione, replica e separazione, il tutto codificato in una forma di cultura visiva. E’ diventato (in particolare attraverso il CIAM, il gruppo internazionale dei modernisti, profondamente influente) il modello per l’urbanizzazione e la suburbanizzazione che ha avuto rapida diffusione negli Stati Uniti e nel mondo intero dopo la Seconda Guerra Mondiale, e che ancora continua ad un ritmo sorprendente in Cina, India, Brasile e altrove. La struttura di questa urbanizzazione ha profonde conseguenze, nel bene e nel male, per l’uso di risorse e per altre questioni cruciali del nostro tempo. Dal punto di vista scientifico attuale, tale struttura ha attributi che dovrebbero suscitare profonda preoccupazione, se non di allarme. Come l’urbanista Jane Jacobs ha notoriamente sottolineato mezzo secolo più tardi, l’approccio modernista non riflette la comprensione della “complessità organizzata” dei sistemi naturali e biologici alla base della biologia umana, della vita umana, e delle città abitate da esseri umani. Esso riflette invece una teoria totalizzante, superata e infondata, della natura della città, della tecnologia e della geometria stessa.

Il linguaggio formale della natura non è meccanico in senso “moderno”. L’unica eccezione nota: Paperino scopre le uova quadrate, da “Lost in the Andes” di Carl Barks, 1948.
(Ridisegno di Nikos A. Salingaros)

Il linguaggio formale della natura non è meccanico in senso “moderno”. L’unica eccezione nota: Paperino scopre le uova quadrate, da “Lost in the Andes” di Carl Barks, 1948.
(Ridisegno di Nikos A. Salingaros)

Indagini scientifiche più recenti rivelano la ricca geometria complessa degli ambienti di vita - tra cui quelli umani. Le geometrie di tali strutture naturali “evolvono nel contesto”, come forme adattative complesse, attraverso un processo noto come “morfogenesi adattiva”. Come risultato di questo processo, le geometrie viventi hanno caratteristiche particolari. Esse si differenziano in una gamma di strutture ingegnosamente uniche, e si adattano alle condizioni locali, dando stabilità e resilienza a tali ambienti. Raggiungono una grande complessità ed efficienza attraverso la loro evoluzione - e una grande bellezza, nella forma di un percepibile ordine più profondo.

Una nuova visione sulla struttura, l’estetica e l’ornamento nell’ambiente naturale.

La chiave della resilienza risiede nel modo con cui diverse parti della geometria si incastrano insieme in gruppi funzionali più grandi (ma non rigidi). Nelle strutture ecologicamente più resilienti, ciò accade attraverso la formazione di simmetrie a diverse scale inter-connesse. La struttura risultante ha le caratteristiche di una auto-organizzazione adattiva ed evolutiva: relazioni ridondanti (“web -network”), diversità dei meccanismi e delle componenti, innata capacità di trasferire le informazioni tra molte diverse scale, e adattività a grana fine di elementi costitutivi. Vi sono anche prove, nelle neuroscienze e in altri campi, che l’esperienza estetica di tali strutture non è un aspetto “psicologico” superficiale, ma piuttosto una sorta di “porta” cognitiva che ci permette di sperimentare e rispondere a questo più profondo ordine del nostro ambiente. La dimensione artistica risiede nel modo con cui si forma questa “porta”, e nella sua risonanza con altre esperienze emotive nella nostra vita. Le astrazioni creativi sono aggiunte - ma non sostituiscono - la naturale complessità del nostro mondo. Come artisti coscienziosi che lavorano per migliorare l’ambiente umano, il nostro ruolo è quello di migliorare, esprimere e chiarire questo complesso ordine adattivo. Non si tratta semplicemente di applicare una patina di espedienti visivamente drammatici. In questo quadro di cose, l’ornamento è lontano dall’essere mera decorazione. Si tratta di una precisa categoria di articolazione delle connessioni tra regioni dello spazio e gli esseri umani che li progettano. Può essere pensata come un tipo essenziale di “collante” che consente alle diverse parti dell’ambiente di riecheggiare e di collegarsi l’una all’altra, sia in senso cognitivo sia in un più profondo significato funzionale. L’ornamento, quindi, è un importante strumento per formare un complesso tessuto di relazioni simmetriche coerenti all’interno dell’ambiente umano.

Questo ornamento è un ricamo? In realtà, è un’antenna frattale che, quando miniaturizzata, rende possibile la ricezione del telefono cellulare. Qui il funzionalismo ha un ruolo importante, inteso in un più profondo significato.
(Disegno di Nikos A. Salingaros)

Questo ornamento è un ricamo? In realtà, è un’antenna frattale che, quando miniaturizzata, rende possibile la ricezione del telefono cellulare. Qui il funzionalismo ha un ruolo importante, inteso in un più profondo significato.
(Disegno di Nikos A. Salingaros)

Stiamo cominciando a capire che il linguaggio formale industriale ha rappresentato una catastrofica perdita di questa capacità di adattamento strutturale, portando con sé enormi conseguenze negative per l’ambiente in cui viviamo. Esso ci ha privato dei processi di pensiero necessari per concettualizzare le caratteristiche delle strutture ambientali resilienti - relazioni web-netwotk, diversità, collegamento tra scale, e adattività a grana fine. Come esempio funzionale, un certo tipo di antenna per cellulari, che incorpora modelli frattali simili ad un ornamento (vedi sopra), offre le migliori prestazioni per le sue piccole dimensioni, ma non può essere concettualizzata all’interno di un linguaggio formale minimalista.

Il grande ripensamento.

Stiamo cominciando ora a vedere uno schema nei cambiamenti epocali nella civiltà industriale del secolo scorso. L’eccessiva dipendenza dalla standardizzazione e dalla mercificazione, la nascita di una società dei consumi dominata dal branding e dalla tematizzazione, il consumo rapace e insostenibile delle risorse come ulteriore “carburante” economico, sono intimamente connesse alla non-resilienza dei linguaggi formali che ci sono stati tramandati. I prodotti di quei linguaggi formali sono una fallimentare “fornitura d’arte” della civiltà industriale. La vera resilienza non deriva da metafore artistiche, o da una “riverniciatura” dello stesso modello industriale difettoso. La resilienza biologica e la sostenibilità richiedono la capacità di durare, di adattarsi, e di mantenere una stabilità dinamica a fronte di ambienti a volte caotici. Queste necessitano di una flessibilità conoscitiva che ci permetta di generare innovazioni tecnologiche. Dovremo pensare fuori dallo schema modernista per trovare nuove forme - e nuovi usi per forme molto vecchie, proprio come fa l’evoluzione naturale. Sembra più che mai chiaro che la sopravvivenza del nostro pianeta dipende da questo. Eppure siamo gli eredi delle erronee e limitanti idee di Loos sul fondamentalismo geometrico, sul determinismo architettonico, sull’ eccezionalità del modernismo, e sul pregiudizio tipologico, radicati in un illusorio funzionalismo estetico. Tutti questi dogmi sono rinforzati da una auto-perpetuazione di privilegi elitari, e dalla mercificazione del design come moda e marca. Ancora oggi, una vecchia guardia reazionaria, indossando una sfilacciata bardatura progressista, condanna qualsiasi uso di ornamenti, modelli o preesistenze come atto reazionario, non creativo e privo di fantasia. Ma in un’epoca che richiede un nuovo pensiero, forse è proprio questo stesso atteggiamento che dimostra la vera mancanza di immaginazione.

Riproduzione su richiesta
Ultima modifica: 25.12.2019
UUID: 91233a72-c852-476c-be41-8996fa09ecb8