Verso architetture resilienti 5: il metodo di progettazione agile
(Traduzione dall’originale: [www].metropolismag.com/Point-of-View/December-2013/Toward-Resilient-Architectures-5-Agile-Design - link alternativo: https://metropolismag.com/projects/future-architecture-must-be-agile/ ).
Mentre l’umanità progredisce nel 21° secolo sempre più tecnologico, ci troviamo di fronte ad un paradosso storico e allarmante.
Nel corso degli ultimi due millenni e mezzo, la nostra specie ha compiuto progressi storici nel raggiungimento (parziale ma sostanziale) degli antichi ideali di democrazia, diritti umani, giustizia e uguaglianza. Le nostre istituzioni scientifiche e tecnologiche hanno fatto progressi brillanti, mentre l’economia globale ha creato una ricchezza senza precedenti. Miliardi di persone in tutto il mondo sono più sane, più istruite, e hanno più potere di plasmare la propria vita e il proprio futuro.
Ma tuttavia, come molti sanno bene, stiamo entrando in un’era di crescente minaccia esistenziale - causata, ironia della sorte, dai nostri stessi successi tecnologici. Stiamo esaurendo le nostre risorse a livelli insostenibili, e stiamo creando danni senza precedenti ai sistemi critici della Terra, su cui dipendono la prosperità e la vita stessa. La nostra tecnologia - compresa la nostra tecnologia economica - sta provocando a cascata una serie interconnessa di conseguenze non intenzionali, che degradano la qualità della vita, e ora minacciano di diventare catastrofiche. L’esempio più notevole (anche se non l’unico) è il cambiamento climatico antropogenico.
Strettamente legato al malfunzionamento della nostra tecnologia è il malfunzionamento delle nostre istituzioni che sono fondamentali per l’apprendimento, la governance, la regolamentazione e per le riforme: la politica, l’economia, il giornalismo, il diritto, e altre. Sta crescendo una grave preoccupazione che le istituzioni non siano più in grado di affrontare i problemi reali che abbiamo di fronte - pericolosamente degradati da conseguenze non volute e da incentivi perversi, che frammentano e confondono i processi essenziali della nostra cultura intelligente. Questa è la formula per un sicuro disastro negli anni a venire (da cui il chiaro avvertimento dell’ultimo libro della grande urbanista Jane Jacobs, Dark Age Ahead).
Un caso esemplare è visibile nelle professioni dell’architettura, dell’urbanistica e dello sviluppo. La ricerca in psicologia ambientale rivela un enorme divario tra ciò che la maggior parte delle persone giudica essere una realizzazione di buona qualità, e ciò che gli architetti, i pianificatori e gli sviluppatori effettivamente costruiscono (e celebrarno attraverso un implacabile ed efficace indottrinamento di gruppo). La voragine è così grande che non è raro sentire la gente comune, non stregata dal marketing, rimarcare la bruttezza, la stranezza, o la inferiore qualità delle più recenti realizzazioni [vedi “L’architetto è nudo “, nella rivista Commons].
Queste percezioni sono anche supportate dalle ricerche sulle performance effettive di questi luoghi - anche di quelli propagandati come molto “green”, costruiti da architetti di fama mondiale. Come abbiamo scritto in precedenza, molte delle affermazioni di sostenibilità e di resilienza sono confutate da schiaccianti valutazioni post-abitative.
La nostra attuale concezione del design è legata ad una forma patologica di crescita.
Queste lezioni ci ricordano che il problema non è semplicemente quello di essere un po’ più efficienti con le nostre risorse, o riciclare di più. Ciò ci permetterà di guadgnare solo una piccola quantità di tempo extra. Per sopravvivere e prosperare, avremo bisogno di cambiare il nostro rapporto fondamentale con le risorse del pianeta, e il nostro modo di estrarle, modificarle e trasformanrle.
Tra le altre cose, ciò significa una fondamentale ri-pensamento di cosa bisogna progettare - cioè, di come dobbiamo trasformare le risorse nelle strutture del nostro mondo. Dobbiamo riconoscere che la nostra attuale concezione del design è legata ad una forma patologica di crescita, che si basa su livelli insostenibili di rifiuti e di debito. Una forma di crescita fondamentalmente più sostenibile, e più resiliente - simile alla crescita evolutiva e ciclica che si verifica all’interno dei sistemi biologici - potrebbe salvarci. Ciò, a sua volta, richiederà un sistema istituzionale diverso e intrinsecamente resiliente.
E’ essenziale che questo nuovo tipo di crescita avvenga all’interno dei nostri sistemi di colonizzazione e di occupazione della Terra: l’architettura delle nostre città, paesi e campagne. Questa architettura “ecologicamente resiliente”, secondo le parole del pioniere della resilienza C.S. Holling, deve essere in grado di resistere a eventi caotici, non lineari, al di là dei parametri stretti della “resilienza ingegnerizzata”. Oltre a questo, la nostra crescita tecnologica deve diventare, come l’ha definita l’economista politico Nassim Nicholas Taleb, “antifragile” - in grado di imparare, e anche trarre beneficio, dal disordine.
Che tipo di profondi cambiamenti istituzionali saranno necessari? Un elemento chiave viene dalla progettazione del software, e dalla metodologia nota come “Agile”.
Generate, non specificate
Alcuni anni fa, nel mondo del software, i programmatori rilevarono problemi a causa di codice informatico sempre più “disordinato”. Le sue interazioni impreviste producevano malfunzionamenti inaccettabili - cosa che oggi stiamo vivendo in altre forme di tecnologia. Una delle soluzioni più efficaci è stata la metodologia chiamata “Agile”. Come spiegava il pioniere del software Ward Cunningham, specificare i comportamenti desiderati ha sempre richiesto definizioni e standard elaborati, mentre, paradossalmente, generare i comportamenti richiedeva spesso solo l’identificazione (attraverso un processo di iterazione adattativa) di un insieme molto più semplice di regole generative.
Sembra che molti sistemi biologici funzionino proprio in questo modo. Il complesso volo degli stormi di uccelli, per fare solo un esempio, non nasce da una sorta di rigido modello, il quale specifica la complessa forma in qualsiasi istante. Ciò necessiterebbe di un vasto set di istruzioni. Piuttosto, ogni uccello ha solo poche e semplici regole per mantenere la sua posizione rispetto al suo leader e ai vicini. Dalla interazione di queste semplici istruzioni, vengono generati gli stupefacenti e complessi motivi geometrici dello stormo.
Come abbiamo fatto notare in precedenza, la bellezza di tali modelli è strettamente legata alla loro capacità di risolvere i problemi (come il complesso problema delle migrazioni degli stormi). Noi esseri umani aggiungiamo altri livelli “strutturali” ai nostri progetti, comprese le componenti simboliche, artistiche e astratte. Ma è sbagliato pensare che questi aspetti siano fondamentalmente diversi. Ogni aspetto della struttura, a suo modo, aiuta le complesse funzioni di un processo vivente.
Un approccio “Agile” ci aiuta a risolvere le sfide create dalle nostre stesse tecnologie. Invece di “imbullonare” ulteriori congegni per affrontare ciascuna delle disfunzioni che incontriamo, facciamo una trasformazione “agile” del sistema del quale ci stiamo occupando, che gli permetterà di adattarsi meglio alle funzioni vitali. Spesso, sorprendentemente, basta un semplice cambiamento in una porzione inaspettata del sistema.
Un approccio “Agile” ci aiuta a risolvere le sfide create dalle nostre stesse tecnologie.
Semplici principi della metodologia “Agile” possono essere applicati ai più vecchi e consolidati sistemi di progettazione dei nostri edifici e delle città. La riforma necessaria non è semplicemente quella di fare ulteriori integrazioni “saldate” all’attuale “sistema operativo”, nella forma di norme, leggi e restrizioni aggiuntive. Questo approccio è quello al quale si pensa immediatamente in questi casi, ma si è rivelato inefficace. Tali aggiunte rischiano di aumentare il problema delle conseguenze non intenzionali e dei risultati perversi, e in realtà non risolvono il problema.
Un principio centrale, come nella metodologia Agile nella progettazione del software, è che il sistema operativo deve essere riscritto, non per specificare il comportamento desiderato, ma piuttosto, per creare le condizioni nelle quali è più probabile che si generi tale comportamento. Questo “approccio progettuale generativo” - utilizzando trasformazioni adattative complesse, coinvolgendo i processi economici, e sfruttando le capacità di auto-organizzazione del metodo Agile - sta emergendo come la chiave per la progettazione resiliente per il futuro.
Trasformate, non sostituite
Un altro principio della Progettazione Agile è quello di investire più tempo nella comprensione della struttura esistente, e cercando di trovare il modo “agile” per trasformarla. Questo è spesso un approccio più semplice che partire da zero, richiedendo meno regole ma più efficaci.
La progettazione, fino ad ora, è diffusamente concepita come un complesso assemblaggio e composizione di elementi, in “prodotti” di consumo (compresi gli edifici). Questo processo, inoltre, conferisce in genere a questi prodotti una patina, creata consapevolmente, di novità estetica, in modo da promuovere la loro (temporanea) desiderabilità (anche se spesso definita come grande arte, è solo raramente considerata come tale dalle generazioni successive). Questo processo lineare continua con una rapida obsolescenza e smaltimento dei prodotti, e con la creazione di nuovi prodotti migliorati (con nuove patine artistiche) che li sostituiscono.
Questo è un processo fondamentalmente insostenibile.
Il design Adattivo è un continuo (e continuamente benefico e redditizio) processo di trasformazione, in cui aspetti innovativi sono tipicamente combinati con quelli durevoli e ricorrenti. Gli aspetti artistici devono lavorare a servizio di questo modello evolutivo, e non devono avere la possibilità di dettarlo. Il design, secondo questa definizione, crea una trasformazione “da condizioni esistenti a quelle preferite”, come ricordava il grande erudito Herbert Simon.
Naturalmente, la meravigliosa definizione di Simon solleva più domande che risposte - ma sono le domande giuste. Per esempio, chi decide le condizioni preferite? Deve essere un processo democratico più ampio, e non solo degli specialisti - architetti, investitori, intenditori d’arte, sviluppatori immobiliari. Ma come può questo processo procedere in modo intelligente, conciliando le preferenze di molti soggetti in un efficace unicum? Oltre il mero marketing per i consumatori, la progettazione sostenibile deve anche affrontare questa importante domanda civica.
Inoltre, una “condizione preferita” in sé non è fissa, ma per sua natura rappresenta un equilibrio ottimale tra una serie di fattori. Tali fattori sono in una interazione dinamica, che richiede che noi sperimentiamo all’interno di un processo iterativo e adattivo per raggiungere quello che preferiamo.
Il design è… un processo evolutivo di scoperta e di ridefinizione, che non può essere previsto in anticipo.
E ‘anche difficile conoscere qual è la condizione attuale, e come trasformarla. Forse, mentre ricaviamo ulteriori informazioni sulla condizione attuale, anche il nostro senso di quello che preferiamo si trasformerà. Potremmo scoprire che ci sono aspetti della condizione esistente che sceglieremo di conservare. In questo senso, il design è necessariamente un processo evolutivo di scoperta e di ridefinizione, che non può essere previsto in anticipo.
Poiché le alternative evolutive proliferano, alcune di loro frequentemente potranno re-incorporare caratteristiche che si sono sviluppate in precedenza (semplicemente perché sono ancora le soluzioni migliori). In natura, un esempio degno di nota è la pinna dorsale di un delfino, che re-integra la forma molto più vecchia di una pinna di squalo.
Ma nel design “moderno”, abbiamo permesso ai dettami delle novità artistiche di usurpare questo processo evolutivo. Come sottolineava Jane Jacobs, questa confusione di ruoli è un male per l’arte, e anche peggio per le città. Il regime di innovazione pseudo-artistica che domina l’architettura e il design orientati al consumatore di oggi è fondamentalmente non resiliente e insostenibile.
L’importante e profondo ruolo dell’Arte nel design è stato corrotto, ed è diventato una confezione per le novità, che ha creato una pericolosa forma di disordine culturale. Il contributo fondamentale dell’Arte alla comunicazione, alla leggibilità, a chiarire i significati, è ora sfruttato come una sorta di “cavallo di Troia” per coloro che proficuamente industrializzano l’ambiente costruito, senza tenere conto delle conseguenze a lungo termine.
Correggere questo dannoso stato di cose richiede il recupero delle buone soluzioni da qualsiasi fonte evolutiva, da ogni epoca. Se vogliamo essere davvero sostenibili, abbiamo bisogno di utilizzare liberamente, come fa la natura, il ripetersi di modelli geometrici evolutivi (incluse le migliori soluzioni evolutesi in secoli di tradizione umana, ma scioccamente rifiutate da ingenui designer “moderni”). In questo quadro resiliente, l’arte può riprendere la sua funzione pienamente creativa.
Semplificate e adeguate il “sistema operativo per la crescita”
Strettamente correlato al modo in cui progettiamo, è il modo in cui ci relazioniamo con gli altri nel processo di produzione. Allo stato attuale, il design è in gran parte concepito all’interno di un complicato contesto specialistico. Questo deve cambiare.
Invece, la progettazione deve essere estesa per coinvolgere i cambiamenti strategici richiesti in quello che noi chiamiamo il “sistema operativo per la crescita”. Lavorando in collaborazione con gli altri, possiamo trasformare l’insieme di incentivi, premi, sanzioni, regolamenti, norme, leggi, e modelli, in una sorta di “sistema operativo” che genera la crescita di strutture ambientali (e di altri manufatti e sistemi) di tutto il mondo.
Come il sistema operativo di un computer, o le regole di un gioco, questo “sistema operativo per la crescita” consente alcune attività ma non altre. Se volete che alcuni processi funzionino in modi che non sono attualmente permessi, sarà necessario riformare il sistema operativo - in questo caso, i modelli e le altre norme di pianificazione, architettura e di sviluppo.
Molti dei risultati dell’attuale “sistema operativo” sono “perversi” - cioè, essi non sono ciò che la gente avrebbe voluto in origine, ma risultano dall’interazione distorta tra gli incentivi e gli altri requisiti. Tali incentivi (alcuni dei quali sembrano discutibili di per se soli) incoraggiano alcune persone a dare una giustificazione a questi esiti perversi - ovvero far finta (o credere) che gli incentivi sono sempre stati desiderati. Forse, alcuni sono portati a pensare ingannevolmente che questi risultati sono invece qualcosa di meraviglioso. Ciò è conosciuto come “illusione cognitiva”, e spiega un certo numero di attuali disfunzioni professionali in architettura e nella pianificazione.
Ma ancora una volta, l’obiettivo non è quello di ingombrare il sistema operativo con regole e procedure che sono fragili a causa della loro intricatezza o qualità “rattoppata”, ma di individuare (attraverso un processo culturale evolutivo di adattamento) un insieme relativamente semplice di incentivi e processi in grado di creare le condizioni in cui è più probabile che si generi il comportamento desiderato. A volte, la soluzione è quella di rimuovere elementi troppo complicati e malfunzionanti; a volte, tuttavia, è una questione di fare trasformazioni con piccole aggiunte (questa non è affatto una prescrizione libertaria ingenua).
Valuta le esternalità
Il più potente incentivo che alimenta qualsiasi “sistema operativo per la crescita” risiede semplicemente nel modo in cui funzionano i processi economici sottostanti, e come certi tipi di “economie” (strategie per raggiungere l’efficienza economica e benefici) vengono premiate, mentre altre sono trascurate. Abbiamo scritto, in “La Geometria della Resilienza “, circa le potenti economie di scala e di standardizzazione che muovono altre due economie essenziali necessarie per la resilienza: le economie di luogo e di differenziazione. Correggere questo squilibrio porterà più funzioni economiche locali, così come una maggiore diversità di attività economiche (un esempio noto di entrambi potrebbe essere, per esempio, un mercato locale di agricoltori che offre una grande varietà di verdure da parte di diversi produttori. L’opposto potrebbe essere una sorta di mais standardizzato che domina i mercati internazionali e spinge le varietà locali all’estinzione).
Attualmente vi è una lotta impari tra le economie di scala e standardizzazione da un lato, e quelle di luogo e differenziazione dall’altro. Questo deriva dal fallimento dei mercati nella valutazione delle “esternalità” - i fattori esterni negativi (e talvolta positivi) che non vengono presi in considerazione nei calcoli economici di un progetto. Un certo progetto potrebbe finire per danneggiare queste risorse esterne, o potrebbe non riuscire a creare i benefici che altrimenti sarebbero possibili.
Il problema può essere inteso come una concorrenza impari tra scale temporali distinte (processi definiti su intervalli di tempo molto diversi). I sistemi naturali e umani alla fine si adeguano alle forze che li stanno distruggendo, ma con un tempo di reazione relativamente lungo. Al contrario, la finanza globale può muoversi molto rapidamente per intervenire in modo significativo negli ecosistemi umani e naturali. Questo è un fenomeno storicamente nuovo, che i nostri sistemi tecnologici non sono in grado di gestire. Se tali interventi danneggiano i processi a lungo termine - e spesso lo fanno, perché sono orientati rigorosamente verso il raggiungimento di profitti a breve termine - il sistema non può assolutamente rispondere in tempo.
La vera modernità risiede… in un modo diverso di pensare a ciò che bisogna progettare per la piena partecipazione di tutti gli esseri umani.
Un esempio evidente è l’esaurimento delle risorse naturali, che in genere non sono considerate fino a quando la risorsa in questione è così vicina al totale esaurimento che la scarsità mette pressione al rialzo sui prezzi. Un’altra questione riguarda le esternalità dell’espansione urbana incontrollata. Gli sviluppatori attuali non sono tenuti a pagare per i costi esterni (esternalità) che comprendono le future riparazioni delle infrastrutture, i danni agli ecosistemi, l’impatto sulla salute umana, il deterioramento della qualità dell’aria, e molti altri.
Le economie di scala e standardizzazione di per sé creano esternalità significative, che possono essere riequilibrate solo dalle economie a grana fine di luogo e differenziazione. Ma se il sistema operativo non fornisce un feedback (come ad es. una ricompensa finanziaria) per l’impiego di queste altre economie, queste continueranno ad essere trascurate, e l’equilibrio tra le economie rimarrà ineguale (come lo è oggi).
Una cosa che possiamo fare è mettere un prezzo sulle esternalità. Ciò significa, per esempio, il pagamento per il carbonio quando viene emesso nell’aria, o per gli ecosistemi quando sono distrutti, o per altre risorse quando sono esaurite. I sistemi hanno bisogno di definire questi prezzi in modo largamente consensuale - esposti ai controlli e ai bilanci di un processo partecipativo più ampio, e non sulla base delle decisioni di questo o quel partito interessato.
L’attuazione richiede un processo partecipativo funzionale - un processo democratico - e, come la maggior parte delle persone riconosce, in quasi tutti i paesi abbiamo bisogno di riforme. L’attuale processo politico che svilupperà tali riforme è “rotto” negli Stati Uniti e in altri paesi; in particolare, è indebitamente influenzato da ristretti interessi finanziari.
C’è un altro aspetto importante di riforma economica che è significativo. In questo momento, la creatività umana è tassata in un modo che è in gran parte indistinguibile dal modo in cui è tassato il depauperamento delle risorse. Questo non ha senso a lungo termine. Abbiamo bisogno di passare ad una forma di valutazione e di quantificazione pubblica (della tassazione) che applichi prezzi per il consumo e l’esaurimento delle risorse in un modo molto diverso - e a un tasso significativamente più alto - rispetto alle attività creative delle persone. Crediamo che sia probabile che questo approccio “Georgista” per la politica fiscale (così chiamato in onore dell’economista politico del 19° secolo Henry George) sia un ingrediente economico chiave nella prossima transizione resiliente.
Conclusione: verso una “nuova modernità”
La maggior parte di coloro che leggono questo post sono, come noi, nel punto più alto della piramide economica globale. Fa riflettere riconoscere che il benessere di molti miliardi di persone (così come dei nostri discendenti) dipende in misura sproporzionata dalle nostre azioni nei prossimi anni. Siamo di fronte al difficile compito di bilanciare il benessere nella nostra vita quotidiana con le responsabilità della gestione sulla cultura e sul pianeta.
E’ comprensibilmente divertente indugiare nelle accattivanti novità artistiche della nostra cultura consumistica del design. Ma è sciocco supporre che questo approccio è autenticamente progressista, sostenibile, o “moderno”. Infatti è solo una ortodossia reazionaria, aggrappata ad una quasi secolare concezione antiquata della modernità industriale. La vera modernità sta nella abbracciare nuovi modelli di crescita globale, che incorporano i concetti di modello evolutivo, complessità organizzata, e morfogenesi adattiva. La modernità risiede in un modo diverso di pensare a ciò che serve per la piena partecipazione di tutti gli esseri umani, per i sistemi viventi, e per un pianeta vivente.